venerdì 25 maggio 2012

La solitudine di Rajoy (Repubblica 22/05/12)


 
Pagina 26 - Economia
 
Mentre il premier Rajoy continua il tentativo di risanamento dei conti, c´è chi adombra un esito "argentino" per la recessione della Spagna
 
Prestiti facili delle banche e deficit delle autonomie le due mine vaganti che possono affondare Madrid
 
 
 
Nei bilanci degli istituti finanziari ci sono 200 miliardi di prestiti che sono carta straccia
 
OMERO CIAI

DAL NOSTRO INVIATO
BARCELLONA - In questi giorni, con lo spread oscillante fra i 480 e i 500 punti, il capo del governo spagnolo si domanda perché i mercati mostrino pochissima fiducia sulla tenuta della Spagna quando, dice Rajoy, «abbiamo fatto bene i compiti che ci ha chiesto Bruxelles». Dal suo arrivo alla Moncloa, con la trionfale vittoria del partito popolare nelle elezioni del 20 novembre 2011, il leader del centrodestra ha mantenuto una linea diretta con Angela Merkel e ha sposato in pieno le direttive sul rigore e il risanamento dei conti pubblici. Ha varato una riforma del mercato del lavoro che rende facilissimo e molto economico per le imprese i licenziamenti; tagliato i bilanci di Sanità e Istruzione; e promesso una riduzione del rapporto deficit/Pil: dall´8,9% del 2011, al 6,4% nel 2012, al 3% entro la fine del 2013. Mariano Rajoy immagina uno Stato leggerissimo e prevede di tagliare le spese per l´Amministrazione pubblica dal 43,6% del Pil (2011) al 37,7% entro il 2015 con un risparmio di 32 miliardi. Un´operazione massiccia che riporterebbe la spesa dello Stato ai livelli precedenti all´ingresso della Spagna in Europa. Il suo problema però sembra essere proprio quello della credibilità del progetto. Intanto perché la Spagna è ancora in recessione (-0,3% ad aprile) e i disoccupati aumentano (5,4 milioni, 25% della forza lavoro) e aumenteranno ancora. Poi per altre due questioni centrali che sono alla base della crisi: i prestiti allegri diventati crediti non esigibili (o "attivi tossici") delle banche e la difficoltà del governo centrale di tenere a freno i bilanci delle autonomie regionali che in Spagna hanno competenze molto ampie. Su quest´ultimo fronte potrebbe apparire paradossale il fatto che tre regioni abbiano nel 2011 camuffato i loro deficit comunicando al governo centrale dati aggiustati in positivo. E´ successo nella Comunità autonoma di Madrid dove comanda Esperanza Aguirre, grande "baronessa" della destra spagnola; in Castilla-Leon, altra regione in mano ai Popolari; e a Valenzia. Venerdì sera, a mercati chiusi, Madrid ha rivelato che il suo deficit 2011 era il doppio (non 1,3% ma 2,2%). E il ricalcolo delle tre regioni ha elevato quello della Spagna dall´8,5 all´8,9% sul Pil nel 2011.
Difficoltà di affidamento oltre che di bilancio hanno anche le banche. Qual è infatti il vero volume dei cosiddetti "attivi tossici"? Quando Hollande, dopo il picco dello spread spagnolo a 507 punti mercoledì scorso e prima del G8 di Camp David, s´è detto favorevole ad un piano di salvataggio europeo per le banche iberiche è stato aggredito da Rajoy: «Non abbiamo bisogno di nulla, ce la facciamo da soli». Peccato che il reale stato delle finanze bancarie non si conosca tanto che il governo ha affidato a due istituti di controllo indipendenti, uno americano e l´altro tedesco, una verifica. I calcoli noti sono questi: nei bilanci degli istituti spagnoli ci sono almeno 188 miliardi di prestiti a società di costruzione o promozione immobiliare che sono carta straccia. Non torneranno mai indietro semplicemente perché i costruttori non sono riusciti a vendere le case che oggi in meno di due anni hanno perso almeno due terzi del loro valore. Poi ci sono altri 128 miliardi di prestiti al mattone considerati "sani". Con molti dubbi. Ma quello che veramente spaventa e viene segnalato come «un formidabile fattore di rischio» sono i 656 miliardi di euro in ipoteche sui mutui concessi ai privati. Possibile, ci si chiede, che con recessione e disoccupazione, tutti paghino il mutuo per la casa? Per ora le banche ammettono un coefficiente di morosità irrisorio, il 2,8%. Sono tutti questi "fattori di rischio" che convincono un osservatore della crisi come il premio Nobel dell´Economia Paul Krugman a vaticinare il rischio "Argentina", il blocco dei conti correnti. «Impossibile», risponde il ministro delle Finanze Cristobàl Montoro. Infine il debito. Negli ultimi cinque mesi gli investitori stranieri hanno venduto 60 miliardi di bonos del debito spagnolo, il 10% del totale, finito alle banche spagnole grazie ai fondi Bce. Anche questo è un elemento di rischio. Le banche aiutano lo Stato sperando che poi lo Stato aiuterà le banche: ma è come se due persone che stanno affogando sperassero di galleggiare legandosi insieme.

I guai della Catalogna (Repubblica 20/05/12)


DOMENICA, 20 MAGGIO 2012
 
Pagina 14 - Economia
 
Tagli e disoccupazione al 23% anche la locomotiva catalana è arrivata sull´orlo del crac
 
A rischio l´autonomia dal governo di Madrid
 
 
 
Il presidente Artur Mas ha varato tre piani di austerità, l´ultimo da 4,7 miliardi: c´è anche la "tassa iPhone"
 
OMERO CIAI

DAL NOSTRO INVIATO
BARCELLONA - L´hanno chiamata "tassa iPhone" e sono i 360 euro che dovranno versare tutti gli studenti degli istituti professionali per contribuire a ripianare il deficit della Generalitat della Catalogna. Irene Rigau, assessore all´Istruzione del governo autonomo, l´ha varata basandosi sulla cifra media che spende un ragazzo di sedici anni per usare uno smartphone. Ed è uno dei tanti balzelli a cui si dovranno abituare i catalani per difendere la loro storica autonomia dal governo centrale di Madrid. In un anno, il presidente catalano, Artur Mas ha varato tre piani di austerità: l´ultimo in questi giorni prevede tagli al bilancio per 4,7 miliardi, circa il 20% del totale, e colpirà ospedali, scuole, impiegati pubblici, tv locale, treni. Così dopo aver perso il campionato di calcio, la Champions, e Pep Guardiola, Barcellona è costretta a mettere in discussione una volta per tutte anche i simboli più cari della sua orgogliosa diversità dal resto della Spagna. «Altrimenti rischiamo di finire come la Grecia», ha detto un preoccupato Artur Mas mentre Moody´s tagliava al livello di "titoli spazzatura" i bonus sul debito emessi dalla regione.
Come la Grecia o anche peggio perché ciò che hanno veramente temuto i leader politici locali nelle ultime settimane era di essere messi sotto tutela da Mariano Rajoy, il presidente del governo nazionale, e di dover rinunciare alle numerose competenze che il sistema dello Stato Federale concede alle autonomie. E, in particolare, a quella del governo catalano che, a differenze di altre regioni, ha sviluppato tutte quelle che la legge consente. Le forme sono un po´ cambiate ma tutti ricordano quando Jordi Pujol, storico leader dell´autonomismo e presidente della Generalitat per 23 anni dal 1980 al 2003, se ne andava in giro per il mondo come se fosse un capo di Stato, con la sua bandiera e una politica estera a sua misura. Oggi però la casa barcolla e Barcellona è costretta ad accettare il peso dei tagli, i più sostanziosi fra tutti quelli delle regioni di Spagna. Cinquemila insegnanti in meno, il ticket sulle ricette mediche e sui ricoveri in ospedale, meno 5% nelle buste paga degli impiegati pubblici (già colpiti da altri tagli), la sforbiciata dei contributi agli asili nido e al bilancio di radio e tv regionali in lingua catalana, riduzione dei trasporti e privatizzazioni di imprese pubbliche. Una sferzata inevitabile – secondo Artur Mas – che avrà l´effetto di ridimensionare alcune velleità autonomistiche ma farà senz´altro crescere il rancore locale verso l´odiata Madrid.
D´altra parte la crisi si assomiglia in tutto il paese e neppure la ricca Catalogna, terra di banchieri, industria e turismo, che da sola vale quasi il 20% di tutto il Pil spagnolo, ne è esente. Basta un dato: sei anni fa i disoccupati in Catalogna erano il 6,6%, oggi sono quasi il 23%, poco meno che nel resto del paese. Lo scontro con Madrid gira intorno alle tasse. A differenza di altre autonomie storiche, come Navarra o i Paesi Baschi, la Catalogna non ha una sovranità fiscale. Le tasse vanno allo Stato centrale e poi ritornano sotto forma di contributi del governo nazionale alla comunità autonoma. Contributi che variano di anno in anno a seconda della capacità "di ricatto" delle forze politiche locali. E oggi sono al minimo anche perché Barcellona per finanziare nei prossimi mesi il suo debito ha bisogno degli "Hispabond", buoni avallati dalla copertura dello Stato centrale. Un meccanismo che aumenta le tensioni e rafforza il sentimento indipendentista. "Catalonia is not Spain" è uno slogan che si può leggere facilmente sui muri da queste parti: ormai il 45% dei catalani è favorevole all´indipendenza. Erano solo il 25% vent´anni fa.

Ecco perché la Spagna affonda (Rep 18 maggio 12)


VENERDÌ, 18 MAGGIO 2012
Pagina 6 - Esteri
I punti
Nella città deserta dei palazzinari "Banche piegate dalla bolla edilizia"
Crolla in Borsa Bankia, è corsa al ritiro dei conti correnti
La Spagna
Ieri l´agenzia Moody´s ha tagliato il rating di 16 istituti di credito iberici
OMERO CIAI

DAL NOSTRO INVIATO
SESEÑA (TOLEDO) - Il crollo in Borsa della quarta banca spagnola, Bankia (meno 29%), la corsa al ritiro dei conti correnti nelle sue agenzie (pubblicata da El Mundo, ma smentita dal governo), e il declassamento da parte di Moody´s del rating di 16 banche spagnole, praticamente di tutto il sistema finanziario iberico, cominciano in queste assolate e polverose vie deserte a metà strada fra Toledo e Madrid. Cinque o sei anni fa, quando l´edilizia tirava, Francisco Hernando, detto Paco "el pocero" (nella foto), il più famoso, furbo e avventuroso, "palazzinaro" del paese, riuscì a raccogliere milioni di euro in prestito per il suo progetto. Una urbanizzazione da 60mila abitanti non troppo lontano dalla capitale per risultare appetibile ad una giovane classe media in fuga dai costi esorbitanti degli appartamenti in città. Angelica, la benzinaia, ride ancora. Se li ricorda quando arrivarono Paco e i suoi operai, quei poveracci a cui il "palazzinaro" non ha mai pagato neppure i contributi pensione e malattia, per trasformare i campi della Sierra dietro al suo distributore in una nuova città.
Era terreno agricolo ma bastò ungere un po´ il sindaco dell´epoca per costruirci giardini, piscine condominiali, qualche campetto da tennis, il rettangolo della pallacanestro e un piccolo stadio. Il tutto in mezzo a numerosi casermoni stile edilizia popolare, ma appena un po´ più chic, lungo i quali oggi non passeggia proprio nessuno. Le finestre, con le persiane di plastica rosse, sono tutte chiuse dal primo al settimo piano. La guardiola del portiere abbandonata, perfino l´ufficio vendite all´angolo del primo edificio è chiuso. Così per tutte le strade, a destra e a sinistra, un edificio dietro l´altro. Alcuni lavori sono stati lasciati a metà, quando s´è chiuso il rubinetto dei prestiti. Dopo gli ultimi due edifici e prima del laghetto ci sono le fondamenta già pronte per altri palazzi mai costruiti e molte strade non portano da nessuna parte, finiscono all´improvviso nei campi. Ai prezzi del 2007 un appartamento di 65mq da queste parti costava più di 200mila euro, oggi le banche che hanno messo i soldi e poi hanno espropriato "el pocero", finito nel frattempo in bancarotta, cercano di venderli a 60mila euro, o di affittarli per 400 al mese. Ma non c´è niente da fare. "El residencial Francisco Hernano", come recita la scritta all´ingresso dell´urbanizzazione, è spaventosamente vuoto. «In cinque anni avranno venduto forse un migliaio di appartamenti», dice Angelica, «e gli unici residenti che vedo io sono quelli che vengono qui a lamentarsi perché gli hanno rubato qualcosa».
In tutta la cintura intorno a Madrid ci sono villaggi nuovi e abbandonati come a Seseña. Adesso li chiamano "low cost" perché pur di vendere qualcosa le agenzie immobiliari delle banche fanno prezzi stracciati. Dopo la sbornia dei soldi facili per la speculazione edilizia, la crisi ha trascinato tutti nel baratro e in rosso per i prestiti ormai a fondo perduto ci sono i maggiori istituti di credito del paese. Nessuno escluso. In tutta la Spagna ci sono più di un milione di nuovi appartamenti invenduti e, sui bilanci delle banche, pesa ogni giorno di più la perdita di valore degli immobili senza proprietario. È il prossimo crac che genera gli incubi nei sonni del presidente del governo conservatore, Mariano Rajoy, e nel quale sono coinvolti tutti: Comuni, Regioni, politici di destra e di sinistra, a cominciare da Aznar, l´ex leader dei Popolari, che negli anni Novanta liberalizzò l´uso del suolo per lanciare l´ultima cementificazione delle coste spagnole. Anche nelle zone di villeggiatura il valore degli immobili crolla. È un segno dei tempi. Anche il turismo si contrae e d´altra parte da mesi la Spagna registra un calo nel totale della sua popolazione: le giovani coppie di diplomati e laureati senza lavoro lasciano il paese per cercare fortuna dall´altra parte dell´Atlantico.
La catastrofe del "ladrillo", il mattone, è la vera spina nel fianco dell´economia che rischia di rendere quasi automatico il contagio delle peste mediterranea, quella malattia che già soffia violenta fra Atene e Lisbona. La Spagna è in recessione da mesi e Rajoy non ha i soldi per salvare le banche. Finora il primo e unico intervento del governo, la nazionalizzazione di Bankia, è stato un disastro. Nell´incertezza generale ieri le azioni di Bankia hanno perso in Borsa il 29 per cento. Il governo nega che sia una conseguenza di un ritiro massiccio dei depositi ma il panico è in agguato e sorvola come un nugolo di corvi i segreti palazzi dei banchieri. L´altro fronte dell´emergenza sono i debiti contratti dalle Comunità autonome. Ieri l´agenzia americana Moody´s ha declassato anche i bonos sul debito emessi dalla Catalogna e da Murcia al livello dei titoli spazzatura, Junk bond. E tagliato il rating anche dell´Andalusia e dell´Estremadura. L´agenzia ritiene che nessuna di queste quattro grandi regioni spagnole riuscirà a raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit nel 2013 e che tutte, senza un intervento del governo centrale, rischiano di non poter onorare i loro debiti.

Goodbye Spain (Repsera 24/05/12)


“Goodbye Spain”, ce ne saranno tanti di cartelli con questo slogan (in inglese per le tv internazionali) venerdì sera a Madrid per la finale della Copa del Rey di calcio. Quest’anno infatti se la contendono il Barça di Pep Guardiola (è la sua ultima partita con la squadra catalana) e l’Athletic Bilbao. Insomma le rappresentative calcistiche di due delle tre autonomie storiche – l’altra è la Galizia – di Spagna. Alla fine degli anni Trenta quando il generale Franco condusse l’esercito golpista alla riconquista dell’unità nazionale, abbatté la Repubblica, e impose la dittatura sostenuto da Hitler e Mussolini, i Paesi Baschi e la Catalogna erano le “regioni maledette”, le patrie del tradimento verso la monarchia deposta e il cattolicesimo calpestato, e come tali vennero punite per decenni. Due lingue, due culture, e anche due potenti borghesie (bancarie e industriali)  che hanno sempre fatto molta fatica a sentirsi “spagnole”, centraliste, monarchiche e castigliane.


Già tre anni fa, nel 2009, la finale della Coppa del Re (torneo che equivale alla nostra Coppa Italia) si giocò fra il Barcellona e l’Athletic. E fu un caos. Le due tifoserie andarono alla stadio con le bandiere nazionali, basca e catalana, fischiarono sonoramente l’inno spagnolo e re Juan Carlos, che restò impassibile. L’incidente costò la poltrona al direttore dei servizi sportivi della tv pubblica perché censurò i fischi, e un processo ai promotori dell’iniziativa archiviato in tribunale perché la protesta era libertà d’espressione. Ma questa volta è diverso. Intanto perché ad incendiare gli animi alla vigilia dell’incontro ci ha pensato la governatrice di Madrid Esperanza Aguirre. Esponente della destra dura all’interno del Partito Popolare di Mariano Rajoy che ha vinto le elezioni nel novembre scorso, Esperanza detta “Espe”, descritta dai giornali come la “piromane”, ha chiesto a polizia e Federazione calcio di annullare l’incontro e rinviarlo “a porte chiuse” senza la presenza del pubblico, se prima della partita verrà fischiato l’inno nazionale. “Sarebbe un oltraggio ai nostri simboli”, ha detto la Aguirre, “e l’oltraggio è punito dal codice penale”. Poi c’è una ragione più seria che fa crescere la tensione e si riverbera anche sulla partita di calcio. La crisi che attraversa il paese rende molto più complicati i rapporti fra il governo nazionale e le autonomie regionali, baschi e catalani in testa. L’austerity di Rajoy, che ha promesso alla Merkel di ridurre il rapporto deficit/pil dall’8,9% del 2011 al 3% entro la fine del 2013, ha costretto la Catalogna ad affrontare una stangata storica, con tagli – a Sanità e Istruzione – pari a quasi il 20% del suo attuale bilancio. Una situazione che rende incontrollabili i rancori separatisti.  

Due dati: i cittadini favorevoli all’indipendenza della Catalogna crescono. Oggi superano il 45% dei 7,5 milioni di abitanti della regione che fa capo a Barcellona ed ha anche nel Barça di Xavi, Pujol e Fabregas (tutti catalani mentre Messi è argentino) una sorta di punto di riferimento nazional simbolico. E il progetto di Artur Mas, presidente della Generalitat di Catalogna dalla fine del 2010, è quello di ottenere “il patto fiscale” con Madrid. Ossia di dare l’ultimo passo verso l’autonomia totale creando un proprio ministero delle Finanze e incassando direttamente le tasse. Se si considera che il governo della Catalogna ha già competenze molto ampie, dalla Sanità all’Istruzione fino alla polizia, le Finanze proprie sarebbero l’anticamera della secessione e dell’indipendenza dalla monarchia spagnola.
E visto che siamo alla vigilia dei Campionati europei di calcio è tornata d’attualità la rivendicazione di tutti i partiti nazionalisti di Galizia, Paesi Baschi e Catalogna, di avere una propria nazionale di calcio, come il Galles e la Scozia che stanno in Gran Bretagna ma vanno agli europei con la propria squadra di pallone. L’altra mattina erano tutti sulla scalinata delle Cortes, il Parlamento, con uno striscione in tre lingue (catalano, basco e gallego) che recitava: “Ogni nazione la sua selezione”.

Da questo punto di vista all’Athletic sono intransigenti e fanatici. L’unico “straniero” è l’allenatore, quel Marcelo Bielsa, argentino, detto “el loco” (il pazzo), che Moratti vorrebbe all’Inter. I calciatori sono tutti baschi di nascita o di formazione calcistica nella “cantera” (le giovanili) del club. Dunque nella finale si fischierà l’inno per ragioni sportive, politiche ed economiche. E a prendere i fischi dei tifosi baschi e catalani non ci sarà Juan Carlos, ancora zoppicante per la caduta durante il polemico Safari in Botswana. Ma suo figlio Felipe, l’erede al trono.