giovedì 27 settembre 2012

"Re" Artur sfida Madrid, repubblica sera 18 settembre 2012




L’uomo che guida la sfida secessionista di Barcellona è un economista di 56 anni cresciuto all’ombra del padre-padrone del nazionalismo catalano, Jordi Pujol, governatore della regione per 23 anni consecutivi (1980-2003), dalla rinascita della Generalitat – il governo autonomo – con il ritorno della democrazia in Spagna. Tenace, equilibrato, bello, onesto, lavoratore, austero: sono alcuni degli aggettivi utilizzati per definirlo dai suoi colleghi di partito, quelli di Convergéncia i Uniò, la coalizione del centro destra catalano che Artur Mas presiede dal 2004. Mentre i suoi avversari, soprattutto quelli del Psc, il partito socialista regionale, preferiscono connotarlo come “presuntuoso, superbo e prepotente”, “un candidato robot”, “rigido, insicuro e anche un po’ anonimo”. Artur Mas ha impiegato sette anni per riportare CiU ai livelli di popolarità degli anni di Pujol, e dopo due solenni sconfitte, nel 2010 ha vinto le elezioni. Tre figli, educato nei migliori collegi di Barcellona, una laurea in economia, gran tifoso del Barça di Iniesta e Messi, amante della letteratura francese (il suo libro preferito è “il piccolo principe” di Saint Exupéry), sportivo appassionato (tennis, vela e sci), è soprattutto un tecnocrata che deve la sua fortuna politica a Marta Ferrusola, la moglie di Jordi Pujol, che lo accolse nel circolo intimo della famiglia più potente del nazionalismo catalano e lo indicò come “hereu”, il lingua catalana “l’erede”. Il delfino scelto per la sua fedeltà al capo e per un aspetto – si disse – kennedyano, più che per le sue idee.
Ma dalla vittoria elettorale del 2010, Artur Mas ha messo il piede sull’acceleratore avviando con il resto della Spagna un duello dall’esito piuttosto incerto. Messa da parte la famosa moderazione di Pujol – che anche quando ebbe il 60% dei suffragi in Catalogna, era solito rispondere ai più radicali nel suo partito: “Abbiate pazienza, prima o poi saremo indipendenti” – Mas ha innalzato la bandiera dell’autosufficienza e dello Stato sovrano, fuori dalla Spagna. Un salto in avanti che preoccupa (moltissimo) gli industriali catalani ma che piace (moltissimo) a tutti gli altri.
Fino all’avvento di Mas le rivendicazioni nazionaliste erano sempre state usate dai governi di Barcellona come una forma di ricatto per ottenere a Madrid condizioni migliori: più fondi, più autonomia, più autogoverno.  Oggi lo scenario è cambiato almeno per un paio di motivi. Il primo colpo al precario matrimonio d’interessi fra Barcellona e Madrid arrivò con il boicottaggio dei prodotti catalani – il famosa Cava, lo spumante, su tutti – promosso dalla destra iberica mentre si negoziava il nuovo Statuto d’autonomia. Il secondo fu, due anni fa, la sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo contro il nuovo Statuto e, soprattutto, contro quella norma che voleva il riconoscimento dell’uso del catalano come prima lingua nelle scuole e nell’amministrazione pubblica. Uno schiaffo che ha deluso e indignato Barcellona. L’ultima botta è la crisi, il deficit regionale, i tagli al bilancio. Tutti guai che i politici locali attribuiscono al nemico, lo Stato spagnolo che non restituisce alla Catalogna tutto quello che i catalani versano in tasse.
Così è nata la rivendicazione del patto fiscale, uno strappo che Madrid non può accettare e che, nell’idea di Artur Mas, sarebbe il completamento dell’autonomia regionale con la nascita di un ministero delle Finanze catalano per riscuotere direttamente le tasse. E’ per questo che lo scorso 11 settembre oltre un milione di persone hanno sfilato per le vie di Barcellona sotto le bandiere rosso e oro del nazionalismo e, proprio durante la manifestazione, l’ex tecnico del Barça, Pep Guardiola, amatissimo dal popolo catalano, è apparso in collegamento video da New York con in mano il libretto verde della Catalogna libera. Un anno fa, nello stesso giorno, quello della Diada, la festa nazionale, erano meno di diecimila. “Se Rajoy – il presidente del governo spagnolo – non dovesse accogliere le nostre richieste, intraprendere il nostro cammino verso la libertà – leggi indipendenza – sarebbe inevitabile”, ha detto Mas. E se, per caso, acconsentisse? Chissà. A nessuno è chiaro se la sfida di Mas è solo l’ennesima prova di forza o se invece prelude scelte irrimediabili come l’avvio di una secessione. La tensione a Madrid è forte. Perfino re Juan Carlos ha lanciato un forte appello all’unità del paese. Nel suo primo messaggio politico sul nuovo sito web della Casa Reale, il re ha esortato gli spagnoli “a lavorare insieme per affrontare la crisi economica” invece di perseguire delle “illusioni”.  “Questo è un momento decisivo in cui possiamo salvare o rovinare il nostro benessere – ha detto il re -. La cosa peggiore che possiamo fare è dividere le forze, perseguire illusioni, riaprire ferite”.
L’eventuale marcia verso un divorzio – “pacifico e consensuale”, dice Mas – è irta di spine. Anni fa il Tribunale Costituzionale bocciò la convocazione di un referendum sull’indipendenza nei Paesi Baschi che non si tenne perché avrebbe violato la Costituzione (articolo 149). Oggi il panorama potrebbe essere diverso: secondo un sondaggio la maggioranza degli spagnoli non sarebbe contraria all’indipendenza della Catalogna anche se essi sono – sempre a maggioranza – convinti che sarebbe un errore e una disgrazia per la Spagna e per la Catalogna. I più contrari sono gli imprenditori che vendono i loro prodotti nel resto del paese e temono boicottaggi e sanzioni.
“Esportate di più nel resto del mondo, non in Spagna”, li incita il governatore. Artur Mas ama definirsi “austero e risparmiatore”, un calvinista. Avrà bisogno di queste qualità. Lui e i suoi elettori. Con i debiti da pagare e i titoli catalani ridotti a junk bond, i prossimi mesi non saranno facili per chi sogna di diventare finalmente nazione.