venerdì 22 aprile 2016

Repubblica 19 aprile 2016

Il vice, il "sultano" e l'ex sfidante 

L'asse dei falchi che ha battuto Dilma

DAL NOSTRO INVIATO
BRASILIA.
C'è il deputato che giura sull'impeachment per difendere il caffé. Quello subito dopo per l'agricoltura. Un altro che lo giustifica per l'amore verso la propria famiglia. Uno per ringraziare la zia che lo allevò quand'era piccolo. Nel grande festival dei peones di domenica notte nel parlamento di Brasilia per l'impeachment di Dilma Rousseff c'è stato perfino uno, avvolto nella bandiera nazionale, che prima di pronunciare al microfono il fatidico "sì", ha fatto gli auguri di compleanno alla nipote. Tutti molto emozionati, i 513 parlamentari avevano trenta secondi di notorietà in tv, nella lunga maratona che ha avviato la destituzione della presidente. E non si sono lasciati sfuggire la possibilità di salutare elettori, amici lontani e perfino antenati in un circo mediatico che è durato più di cinque ore.
Ma il grande regista dell'operazione, il presidente della Camera, Eduardo Cunha, che ha gestito la nuova alleanza fra i nemici della Rousseff, non è un uomo senza macchia. Il suo nome è appena uscito nei Panama Papers. La lista è quella della Penbur Holding, una agenzia offshore creata dalla Mossak Fonseca per muovere capitali nei paradisi fiscali. Non è la prima volta che Cunha finisce impigliato in casi di corruzione. Tanti anni fa, sua moglie Claudia, che all'epoca lavorava come anchorwoman in una catena tv di Rio de Janeiro, rimase stordita leggendo in diretta un lancio d'agenzia che annunciava la destituzione del marito da un incarico statale per un'inchiesta legale. Oggi i giudici dello scandalo Petrobras accusano Cunha di aver ricevuto tangenti per 5 milioni di dollari. E dietro la sua decisione di accogliere la richiesta di messa in Stato d'accusa della presidente, ci sarebbe proprio la necessità di garantirsi appoggi nella Commissione Etica della Camera che avrebbe già dovuto sospenderlo, togliendogli quell'immunità che lo protegge dall'azione dei magistrati.
È il patto con il diavolo che l'opposizione al governo di Dilma Rousseff ha dovuto accettare per raggiungere l'obiettivo. A Brasilia, Cunha lo chiamano "Il Sultano". Leader degli evangelici, possiede 150 domini web col nome di "Gesù". Antiabortista scatenato, Cunha, che ha anche la cittadinanza italiana, ha promosso una legge per istituire "il giorno dell'orgoglio eterosessuale", ed è famoso come militante della "Bancada de la bala", il gruppo di parlamentari che vuole liberalizzare il possesso di armi.
L'altro regista di quello che Dilma continua a chiamare «il golpe » è un politico di lungo corso, che conquistò le prime pagine dei rotocalchi quando, nel 2003, sposò in terze nozze, una reginetta di bellezza. All'epoca Michel Temer aveva già 61 anni e la ragazza, Marcela Tedeschi, che ancora oggi è sua moglie, appena diciannove. Temer, leader del partito centrista Pmdb, è colui che garantì la governabilità dopo il primo scandalo di corruzione del partito di Lula più di dieci anni fa. Nel 2010 venne eletto per la prima volta vicepresidente, in coppia con Dilma. Rieletto nel 2014. Fino al grande tradimento, il 29 marzo scorso, quando ha deciso di uscire dal governo aprendo la strada al colpaccio dell'impeachment. Politico raffinato, noto come un grande conciliatore in un parlamento frantumato dove convivono 25 partiti, Temer per sostituire Dilma ha ora bisogno dell'appoggio dei socialdemocratici del Psdb.
Aecio Neves, il candidato socialdemocratico sconfitto da Dilma al ballottaggio di fine 2014, non si è mai rassegnato alla sconfitta. L'inchiesta "Lava Jato", sul giro di tangenti tra aziende private e commesse pubbliche, che ha colpito soprattutto il Pt di Lula e Dilma — ma che ha sfiorato anche Aecio — e il precipitare della recessione economica, hanno convinto il Psdb che si poteva tentare la spallata senza aspettare nuove elezioni.
A poco a poco, mentre nelle piazze cresceva il malcontento popolare, anche gli altri leader del centro destra, dall'ex presidente Fernando Henrique Cardoso, a José Serra, hanno iniziato ad appoggiare l'impeachment. Un male minore pur di cacciare Dilma nonostante l'evidente forzatura istituzionale. Il movente, il maquillage di bilancio per occultare il deficit statale, è debole per autorizzare una messa in Stato d'accusa. La pressione delle migliaia di manifestanti anti Dilma, quelli che vanno in piazza con la divisa gialla della maglietta della nazionale di calcio (scelgono quasi tutti il numero dieci di Neymar perché è il più ammirato), ha fatto il resto, spingendo il Psdb verso il patto con il diavolo.
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