L' autunno del Comandante / Dove nasce (e muore) il mito di Chavez
DAL NOSTRO INVIATO OMERO CIAI
CARACAS - NEL 1998, la prima volta, Chávez vinse le elezioni con il 16 per cento di vantaggio sul suo avversario. Nel 2000 con il 22 per cento. Nel 2006 con il 26. Una marcia trionfale.
In quattordici anni non ha mai perso se si esclude il referendum costituzionale del 2007 nel quale chiedeva pieni poteri e venne sconfitto per un soffio. Perché mai oggi di fronte al suo quarto mandato molti osservatori si sono convinti che potrebbe anche perdere? Di certo c'è il logorio del potere. Capriles ha quarant'anni (diciotto di meno del presidente), un'immagine giovanile, onesta, sportiva con il berretto da baseball (sport nazionale) e le scarpe da ginnastica. E aspira a rappresentare il "cambiamento". Chávez è la continuità, concetto di per sé perdente in una società giovanissima come quella venezuelana. Poi è anche malato. Ha sempre la faccia gonfia. Dicono per gli steroidi che prende per superare i dolori e l'handicap fisico di un sarcoma incurabile che è da due anni un assoluto "segreto di Stato". Poi Capriles è riuscito ad unificare intorno a sé tutti i mille rivoli dell'opposizione, da destra a sinistra. Damas ha poco meno di cinquanta anni e fa il contabile per lo Stato. È cresciuto nel "23 de enero", il quartiere più chavista della capitale nel profondo sud di Caracas. Il "bastione ribelle", dicono qui, perché questa fila di casermoni paralleli da dieci e più piani è stata sempre piena di comunisti, anarchici e socialisti. Il sobborgo venne costruito alla fine degli anni Cinquanta quando un dittatore visionario e "di sinistra", Perez Jimenez, intraprese un ampio programma di edificazione popolare per cancellare dalla città i "ranchos", le favelas che ancora oggi s' arrampicano sulle colline. In realtà doveva servire per alloggiare militari di basso rango ma venne occupato da migliaia di famiglie di poveri e poverissimi. Da allora, e per più di quarant' anni, fino all' arrivo di Chávez - racconta Damas - due settimane prima del voto il "23 de enero" veniva occupato dall' esercito che imponeva il coprifuoco. Le urne con i voti di solito riemergevano da qualche burrone dov' erano state gettate qualche giorno dopo le elezioni. «Quarant' anni d' imbrogli elettorali contro di noi», dice Damas.
Non è più così da quando il "caudillo rosso" ha trovato il suo popolo di elettori fedelissimi in queste vallate e la «rivoluzione bolivariana avanza». Damas s' è operato a Cuba. Alla colonna vertebrale. Un intervento che non avrebbe potuto pagare e che ha fatto gratis grazie all' accordo di scambio con l' Avana: petrolio a costo zero per Raùl, medici e operazioni per il Venezuela. Poi ci fa vedere i suoi occhiali da vista, anche quelli gratis grazie a Chávez e la mazzetta dei "cesta ticket", i buoni alimentari mensili da 200 euro cui hanno diritto tutti per comprare, sempre gratis, in tutti i supermercati. Attirati dal dialogo di fronte ad un baretto scalcinato che distribuisce birra e rum, a Damas si sono aggiunti altri residenti del "bastione ribelle": Armando, Jaime, Roberto e Merwin, il più giovane, che snocciolano tutto il bene che «il socialismo del XXI secolo» ha fatto per il loro quartiere. Hanno la radio comunitaria pagata dal governo e stanno installando pure una televisione tutta per loro; poi c' è "Info centro", il palazzetto informatico dove possono collegarsi a internet; e il centro sanitario, con medici cubani naturalmente, con l' ambulatorio che riceve a qualsiasi ora. E poi i libri gratuiti per i bambini che vanno a scuola e per i grandi. Chávez ha fatto distribuire milioni di copie della nuova Costituzione («qui la conosciamo tutti a memoria», chiosa Damas) e, per le ore di tedio, altri milioni di libri del "Don Chisciotte". Mentre il canale tv nazionale (vtv), superoccupato dai chavisti, ha iniziato a produrre anche telenovelas come "Barrio Sur" (quartiere sud) dove tutta l' azione si svolge nei quartieri popolari. A casa di Damas la rivoluzione ha anche portato il gas diretto e qualche imbarazzo si nota solo quando si parla di politica e delle ambigue alleanze internazionali di Caracas. Iran, Russia, Bielorussia... Finché uno di loro sbottae dice: «Meglio l' Iran degli ayatollah che il demonio Usa». È lo sguardo strabico della vecchia sinistra latinoamericana con "Satana" che sono le multinazionali americane perché hanno depredato fin quando hanno potuto il "cortile di casa" e la terra promessa fa rima con L' Avana, il ' 59, Castro e Che Guevara. Al "23 de enero", Henrique Capriles, il giovane avversario di Chávez, viene percepito come l' ennesima reincarnazione dell' aristocrazia venezuelana, "los escualidos" (gli squallidi), che vogliono tornare al potere per riprendere il controllo sull' unica cassaforte del paese, Pdvsa, l' holding statale del petrolio, che oggi fornisce a Chávez tutti i fondi che, nel bene e nel male, redistribuisce. «Per farlo meglio e a favore di tutti», dice Capriles che ha puntato tutte le sue carte sulla riconciliazione del paese dopo anni nei quali Chávez ha giocato ad aizzare una metà contro l' altra. Nel 1998, la prima volta, Chávez vinse le elezioni con il 16 percento di vantaggio sul suo avversario. Nel 2000 con il 22 percento. Nel 2006 con il 26 percento. E domenica prossima si torna al voto. Per Chavez è stata fin qui una marcia trionfale. In quattordici anni non ha mai perso se si esclude il referendum costituzionale del 2007 nel quale chiedeva pieni poteri e venne sconfitto per un soffio. Perché mai oggi di fronte al suo quarto mandato molti osservatori si sono convinti che potrebbe anche perdere? Di certo c' è il logorio del potere. Capriles ha quarant' anni (diciotto di meno del presidente), un' immagine giovanile, onesta, sportiva con il berretto da baseball (sport nazionale) e le scarpe da ginnastica.E aspiraa rappresentare il "cambiamento". Chávez è la continuità, concetto di per sé perdente in una società giovanissima come quella venezuelana. Poi è anche malato. Ha sempre la faccia gonfia. Dicono per gli steroidi che prende per superare i dolori e l' handicap fisico di un sarcoma incurabile che è da due anni un assoluto "segreto di Stato". Poi Capriles è riuscito ad unificare intorno a sé tutti i mille rivoli dell' opposizione, da destra a sinistra, e promette di combattere una piega che duole molto: assalti, omicidi, sequestri. In questi anni Caracas è diventata la seconda città più pericolosa dell' America Latina con una media di 80 assassinii ogni 100mila abitanti. Trecento morti ammazzati ogni weekend. Ma il vero scontro in questo voto che sembra essere diventato "la madre di tutte le elezioni", per le conseguenze anche geostrategiche che potrebbe avere una sconfitta della rivoluzione bolivariana, è sul modello economico. È vero che Chávez è riuscito a migliorare le condizioni di vita delle fasce più povere. Ma restano poveri e dipendono completamente dallo Stato. Qualche dato: in dieci anni l' industria privata s' è contratta di un terzo, sono morte 4mila imprese su 11mila. È scesa brutalmente la produzione tessile, quella meccanica (auto e altro) e quella agricola. Oggi l' 80 percento dei prodotti che vengono consumati nel paese sono importati. Perfino la benzina raffinata. E sono cresciuti a dismisura burocrazia e impiego statale. I ministeri sono diventati ventinovee gli impiegati nel petrolio, Pdvsa, sono cresciuti da 32mila, nel 1998, a 105mila oggi mentre la produzione di greggio è la stessa o è diminuita. Molte fabbriche sono state nazionalizzate e dipendono anch' esse dallo Stato. L' inflazione è la più alta del sub continente, il 28 percento nel 2011, più o meno lo stesso quest' anno.È il ritorno miracoloso - grazie al prezzo del greggio - del "Venezuela Saudita" degli anni Settanta con grande sperpero di denaro pubblico e profonda corruzione. Il controllo sul cambio spiega una parte del malessere anche se non contagia la qualità della vita della classe medio-bassa. Ai venezuelani è proibito cambiare più di 400 dollari all' anno e, se viaggiano in vacanza all' estero, possono usufruire di una carta di credito statale con 2.500 dollari. Lo stesso vale per le imprese che importano prodotti che devono essere autorizzate dal governo. Questo ha fatto esplodere il mercato illegale del cambio del dollaro dove la moneta Usa vale tre volte rispetto al cambio ufficiale e, in sostanza, creato anche la "boliborghesia" (borghesia bolivariana) rappresentata da chi, grazie alla prossimità con il potere, può importare merci comprando i dollari calmierati (che indebitano le casse statali) mentre tutti gli altri devono finanziarsi al mercato nero. Infine, gioielli del Patriarca, ci sono i fondi di investimento stranieri che Chávez gestisce in assoluta solitudine senza alcun controllo reale. Sono accordi sottoscritti con la Cina, la Libia, la Siria, la Bielorussiae l' Iran nei quali questi paesi versano milioni di dollari in cambio delle forniture di idrocarburi (greggio e gas). Negli ultimi giorni, dopo che Capriles ha conquistato Caracas e ha riempito la storica avenida Bolivar con decine di migliaia di oppositori, la campagna è diventata all' improvviso molto incerta. Oggi, sul palcoscenico della Bolivar, tocca ai chavisti ma è probabile che nessuno dei due candidati sappia per certo come andrà davvero a finire. Lo stratega di Chávez è un brasiliano. Joao Santana, quello che ha riportato al potere Lula nel 2006 e trascinato una sconosciuta Dilma Rousseff al successo nel 2010. Santana ha ammorbito le parole d' ordine. Meno rivoluzione, più cuore, patria e amore. Per riassorbire tutti quegli indecisi infastiditi dalle derive estremiste e intolleranti del chavismo o delusi dalle promesse mancate. Anche lo spin doctor di Capriles è brasiliano. Marcelo Simöes, più giovane, vivace e aggressivo di Santana. Se non ci fosse di mezzo l' ideologia, Capriles che promette di conservare e migliorare tutti i programmi sociali (le misiones) realizzati da Chávez avrebbe già vinto la partita. Per Damas e i suoi amici del "23 de enero" è troppo difficile dimenticare quando si svegliavano con i soldati sulla porta di casa e i loro voti finivano nel burrone. Ma comunque sia, l' autunno del comandante invincibile è cominciato e lo sanno anche loro. |
OMERO CIAI
Non se la merita «Gabito» questa inconsueta pantomima sul suo stato di salute. Sulla memoria che se ne va. Sull' Alzheimer che avanza implacabile come accadde per sua madre Luisa, la straordinaria Ursula dei "Cent' anni di solitudine", e come accadde - dice suo fratello Jaime - per tutta la famiglia Márquez, avvezza al calvario della demenza senile. Ieri, due frasi su twitter, hanno trasformato in un piccolo giallo le condizioni di salute del maestro Gabriel García Márquez, 85 anni il 6 marzo scorso, uno degli scrittori più letti ed amati nel mondo. Il direttore della Fondazione Nuevo Periodismo, la scuola di giornalismo creata da Márquez a Cartagena, in Colombia, nel 1994, ha smentito le parole di Jaime García Márquez, l' ottavo degli undici figli di Gabriel Eligio, il telegrafista, e Luisa, sua moglie, tredici anni più piccolo di Gabo. Parole che avevano già fatto il giro del mondo perché, per la prima volta, un membro della famiglia aveva rivelato un triste «segreto» già noto fra gli amici più intimi dello scrittore. Jaime Abello, il direttore della scuola, ha scritto: «Non voglio polemizzare, né commentare interpretazioni sull' intimitàe la salute di Gabo, ma ribadisco che non esiste nessuna diagnosi medica di "demenza senile". È soltanto anziano e si dimentica alcune cose ma tuttavia posso godere della sua amicizia». Un missile sparato contro Jaime che qualche ora prima, davanti ad una platea di duecento ragazzi a Cartagena, aveva detto che suo fratello «non può più scrivere», che «non finirà mai la seconda parte della sua autobiografia» (Vivere per raccontarla) e che «a volte quando parliamo per telefono m i v i e n e d a piangere perché sento che se ne sta andando». I due Jaime, Abello e García Márq u e z , h a n n o l' ufficio sullo stesso pianerottolo, uno di fronte all' altro, nella calle San Juan de Dios, nel quadrilatero del vecchio e maestoso centro coloniale di Cartagena de Indias. Ma evidentemente non si sono mai amati. Anzi, Abello è il fiduciario di Mercedes Barcha, l' inflessibile moglie di Gabo, custode assoluta della sua privacy; mentre Jaime fratello, che con Mercedes non ha mai avuto «affinità elettive», (lui e Gabo scappavano di nascosto per andarsi ad ubriacare di pregiati whisky di malto in qualche bettola di Cartagena), rivendica il suo ruolo privilegiato di familiare (e di studioso dell' opera di Márquez) con diritto ad esprimersi liberamente. «A volte vorrei non essere suo fratello e poter parlare con un po' più di libertà»- ha detto Jaime - «Ho una informazione che mi intristisce ma adesso devo raccontarla perché non posso più controllarmi». Jaime e «Gabito» non si vedono da oltre due anni perché Márquez non va più a Cartagena quando arriva la primavera come faceva tutti gli anni, a marzo, per trascorrere in Colombia la settimana del suo compleanno. Rimane a Città del Messico ed esce pochissimo. Ma si sentono quasi tutti i pomeriggi, racconta Jaime. «Chiama perché vuole che gli rinfreschi la memoria». «A meè toccata questa missione - aggiunge -, fortunata ma allo stesso tempo molto dolorosa. Ma penso che se ho il privilegio di poter parlare con lui debbo anche pagarlo in qualche modo.E lo pago con il dolore che provo, un dolore che alla fine mi lascia comunque una soddisfazione molto grande». A questo punto molti dei ragazzi si sono commossi ed anche sul volto di Jaime è scesa qualche lacrima. Dopo aver rivelato che l' Alzheimer di Márquez è rapidamente peggiorato anche per le sessioni di chemioterapia alle quali siè dovuto sottoporre dieci anni fa per un tumore linfatico, Jaime ha concluso la sua conferenza-confessione parlando di due racconti inediti che, alla fine, lo scrittore ha deciso di non pubblicare: «La tigra» e «Ci vediamo ad agosto». «Li ha riscritti molte volte in questi anni ma non è più riuscito a raggiungere la perfezione che ha sempre cercato nelle sue opere». Così mentre Mercedes e Abello smentiscono, Jaime conferma. D' altra parte il primoa parlare dell' Alzheimer era stato all' inizio di giugno un altro grande amico di Márquez, un po' reietto per ragioni ideologiche dalla moglie Mercedes: Plinio Apuleyo Mendoza. Plinio ha raccontato di aver telefonato a Gabo nel giorno del suo compleanno per fargli, come sempre, gli auguri. «Ma Mercedes non me lo ha passato, perché spesso non riconosce più neppure gli amici più cari. In seguito suo figlio Rodrigo mi ha detto che dalla voce non riconosce più nessuno. Se invece vede il volto qualcosa rammenta». Un altro testimone è lo scrittore peruviano Alfredo Bryce Echenique: «Che tristezza e che angoscia vederlo così - ha confessato - . Ci sono giorni in cui sta benissimo ma altri nei quali perde completamente la memoria. È capitato che non mi riconoscesse neppure e mi chiamasse "Carlos", chissà perché».