venerdì 25 maggio 2012

Goodbye Spain (Repsera 24/05/12)


“Goodbye Spain”, ce ne saranno tanti di cartelli con questo slogan (in inglese per le tv internazionali) venerdì sera a Madrid per la finale della Copa del Rey di calcio. Quest’anno infatti se la contendono il Barça di Pep Guardiola (è la sua ultima partita con la squadra catalana) e l’Athletic Bilbao. Insomma le rappresentative calcistiche di due delle tre autonomie storiche – l’altra è la Galizia – di Spagna. Alla fine degli anni Trenta quando il generale Franco condusse l’esercito golpista alla riconquista dell’unità nazionale, abbatté la Repubblica, e impose la dittatura sostenuto da Hitler e Mussolini, i Paesi Baschi e la Catalogna erano le “regioni maledette”, le patrie del tradimento verso la monarchia deposta e il cattolicesimo calpestato, e come tali vennero punite per decenni. Due lingue, due culture, e anche due potenti borghesie (bancarie e industriali)  che hanno sempre fatto molta fatica a sentirsi “spagnole”, centraliste, monarchiche e castigliane.


Già tre anni fa, nel 2009, la finale della Coppa del Re (torneo che equivale alla nostra Coppa Italia) si giocò fra il Barcellona e l’Athletic. E fu un caos. Le due tifoserie andarono alla stadio con le bandiere nazionali, basca e catalana, fischiarono sonoramente l’inno spagnolo e re Juan Carlos, che restò impassibile. L’incidente costò la poltrona al direttore dei servizi sportivi della tv pubblica perché censurò i fischi, e un processo ai promotori dell’iniziativa archiviato in tribunale perché la protesta era libertà d’espressione. Ma questa volta è diverso. Intanto perché ad incendiare gli animi alla vigilia dell’incontro ci ha pensato la governatrice di Madrid Esperanza Aguirre. Esponente della destra dura all’interno del Partito Popolare di Mariano Rajoy che ha vinto le elezioni nel novembre scorso, Esperanza detta “Espe”, descritta dai giornali come la “piromane”, ha chiesto a polizia e Federazione calcio di annullare l’incontro e rinviarlo “a porte chiuse” senza la presenza del pubblico, se prima della partita verrà fischiato l’inno nazionale. “Sarebbe un oltraggio ai nostri simboli”, ha detto la Aguirre, “e l’oltraggio è punito dal codice penale”. Poi c’è una ragione più seria che fa crescere la tensione e si riverbera anche sulla partita di calcio. La crisi che attraversa il paese rende molto più complicati i rapporti fra il governo nazionale e le autonomie regionali, baschi e catalani in testa. L’austerity di Rajoy, che ha promesso alla Merkel di ridurre il rapporto deficit/pil dall’8,9% del 2011 al 3% entro la fine del 2013, ha costretto la Catalogna ad affrontare una stangata storica, con tagli – a Sanità e Istruzione – pari a quasi il 20% del suo attuale bilancio. Una situazione che rende incontrollabili i rancori separatisti.  

Due dati: i cittadini favorevoli all’indipendenza della Catalogna crescono. Oggi superano il 45% dei 7,5 milioni di abitanti della regione che fa capo a Barcellona ed ha anche nel Barça di Xavi, Pujol e Fabregas (tutti catalani mentre Messi è argentino) una sorta di punto di riferimento nazional simbolico. E il progetto di Artur Mas, presidente della Generalitat di Catalogna dalla fine del 2010, è quello di ottenere “il patto fiscale” con Madrid. Ossia di dare l’ultimo passo verso l’autonomia totale creando un proprio ministero delle Finanze e incassando direttamente le tasse. Se si considera che il governo della Catalogna ha già competenze molto ampie, dalla Sanità all’Istruzione fino alla polizia, le Finanze proprie sarebbero l’anticamera della secessione e dell’indipendenza dalla monarchia spagnola.
E visto che siamo alla vigilia dei Campionati europei di calcio è tornata d’attualità la rivendicazione di tutti i partiti nazionalisti di Galizia, Paesi Baschi e Catalogna, di avere una propria nazionale di calcio, come il Galles e la Scozia che stanno in Gran Bretagna ma vanno agli europei con la propria squadra di pallone. L’altra mattina erano tutti sulla scalinata delle Cortes, il Parlamento, con uno striscione in tre lingue (catalano, basco e gallego) che recitava: “Ogni nazione la sua selezione”.

Da questo punto di vista all’Athletic sono intransigenti e fanatici. L’unico “straniero” è l’allenatore, quel Marcelo Bielsa, argentino, detto “el loco” (il pazzo), che Moratti vorrebbe all’Inter. I calciatori sono tutti baschi di nascita o di formazione calcistica nella “cantera” (le giovanili) del club. Dunque nella finale si fischierà l’inno per ragioni sportive, politiche ed economiche. E a prendere i fischi dei tifosi baschi e catalani non ci sarà Juan Carlos, ancora zoppicante per la caduta durante il polemico Safari in Botswana. Ma suo figlio Felipe, l’erede al trono.

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