domenica 19 febbraio 2012

DILMA ROUSSEFF (repsera 12.01.2012)























Dilma piace. S’elevò nel primo governo dell’ex presidente brasiliano Lula (2002-2006) proprio per quel suo carattere, deciso e forte, e quel suo modo di applicarsi ai compiti, da secchiona attenta ad ogni dettaglio, tanto da conquistarsi fra la sorpresa generale l’appoggio del leader che la lanciò come miglior candidato per succedergli. Delusi e gelosi gli altri aspiranti traditi e i baroni del partido dos trabalhadores, al potere in Brasile, presero sottovoce a chiamarla “la mandona” (la prepotente). Ma il suo mentore, Lula, aveva ragione perché Dilma Rousseff ha prima vinto le elezioni e poi conquistato i brasiliani. Oggi il suo indice di approvazione personale supera il 72% e quello del suo governo batte tutti predecessori al giro di boa del primo anno (53%). Era l’economia, stupidi. Direbbe qualcuno proprio adesso che il boom brasiliano è entrato nella sua fase critica e che, questa Lady di Ferro dei Tropici (come la definiva ieri il Financial Times), si vedrà costretta ad affrontare la prova più difficile: evitare l’inversione della crescita. Da quello che faranno nei prossimi mesi Dilma e il suo governo dipenderà nel breve periodo il futuro dell’economia brasiliana che dopo dieci anni di forte espansione da sei mesi ha bruscamente rallentato. Colpa della crisi mondiale, della concorrenza cinese (tessile e calzature), e dell’apprezzamento della moneta (il real) rispetto al dollaro che ha reso più costose le esportazioni. Ma non solo. Molti analisti ammoniscono sulle debolezze storiche del Brasile (istruzione e infrastrutture) e attribuiscono al sistema, e non alla contingenza, le responsabilità della frenata e il risorgere di un demone antico da queste parti, l’inflazione, già al 6,5%.

Nubi all’orizzonte che i cittadini ancora non percepiscono nelle loro tasche ma che possono mettere in discussione l’avvenire del Brasile dei record (crescita, esportazioni, investimenti esteri). Gli obiettivi del gigante giallo oro, che fra il 2014 e il 2016 ospiterà in rapida successione i campionati del mondo di calcio e le Olimpiadi, non sono un segreto e dopo aver conquistato il sesto posto tra le grandi economie, superando Inghilterra ed Italia, punta entro il 2015 al quinto, scalzando la Francia. Per questo Dilma quest’anno correrà dei rischi abbassando le tasse ed alzando i sussidi per stimolare la domanda del mercato interno. Una politica in controtendenza rispetto alle raccomandazioni del Fondo monetario internazionale che ha già provocato frizioni pubbliche fra la “presidenta” – economista di formazione – e Christiane Lagarde, la nuova direttrice del Fondo che ha sostituito Strauss-Kahn dopo lo scandalo del Sofitel a New York. Dilma piace ai brasiliani per le stesse ragioni per cui piacque a Lula quando nel 2005 la trasferì dal ministero dell’energia a capo di tutto il suo governo. Ma piace anche fuori dal Brasile soprattutto perché è meno ideologica e molto più pragmatica del suo predecessore. Un esempio facile da citare è il viaggio del presidente iraniano Ahmadinejad che nel 2009 venne accolto da Lula e che quest’anno è stato costretto a cancellare il Brasile dalle sue mete latinoamericane (è andato da Castro, da Chavez, e andrà in Ecuador). Infatti per Dilma le relazioni con gli Stati Uniti sono strategiche e non ha nessuna voglia di perdere tempo in futili provocazioni ideologiche irritando Washington.

Fra le scelte che l’hanno resa popolare alla fine del primo anno bisogna citare la decisa lotta alla corruzione, la preferenza per le donne nell’esecutivo e nei posti chiave dei suoi collaboratori, e l’aumento (più del doppio rispetto all’inflazione) del salario minimo. Sul malaffare in politica ha decisamente cambiato passo costringendo ben sei ministri – tutte eredità avvelenate dell’epoca Lula – indagati dalla magistratura alle dimissioni. Sessantatré anni, figlia di un comunista bulgaro, ex guerrigliera incarcerata e torturata durante la dittatura militare, la Rousseff da adolescente sognava i palcoscenici del balletto. Oggi rilegge Dostojevsky, ascolta l’opera lirica italiana, e ha di fronte la sfida più importante. Fare in modo che il Brasile mantenga tutte le sue promesse.

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