sabato 18 febbraio 2012

Falkland, giochi di guerra (Repsera 17 febbraio 2012)

L’approssimarsi del trentesimo anniversario della sconfitta nella guerra con la Gran Bretagna di Margaret Thatcher e l’autarchia economica voluta da Cristina Kirchner stanno risvegliando a Buenos Aires vecchi fantasmi. L’impeto nazionalista rispetto al conflitto con Londra per l’arcipelago delle Falkland/Malvinas coincide di solito in Argentina con l’incubazione di profonde crisi politiche. Fu così nell’aprile del 1982 quando i generali dell’ultima dittatura, sempre più screditati e in difficoltà, lanciarono l’esercito verso le due isole maggiori che, insieme a numerose altre più piccole e disabitate, compogono l’arcipelago a meno 500 km dalle coste argentine. Oggi a ravvivare l’interesse di Buenos Aires per la secolare contesa ci hanno pensato prima le diverse versioni sui vasti giacimenti di petrolio che, secondo i tecnici di aziende britanniche e americane, si troverebbero in fondo all’Oceano nelle acque ad est delle Falkland e l’arrivo nella guarnigione militare delle isole del principe William, nipote della regina e primo figlio di Carlo e Diana, per una missione di sei settimane insieme ad un cacciatorpediniere della marina inglese, l’Hms Dauntless (l’Intrepido).

Così davanti all’ambasciata inglese nella capitale argentina si danno alle fiamme le bandiere di sua maestà mentre dalla Casa Rosada (sede della presidenza) si diffonde un dossier, già consegnato all’Onu, nel quale si accusano i britannici di voler “militarizzare” la zona sud dell’Oceano Atlantico. E, intorno a Cristina, si stringe la solidarietà, degli altri paesi dell’America Latina che in un recente summit hanno sottoscritto una dichiarazione nella quale s’impegnano ad impedire l’ingresso nei loro porti di navi con la bandiera “illegale” delle Falkland. Divieto chiesto dall’Argentina con l’obiettivo di isolare economicamente l’arcipelago. Oggi sulle isole risiedono circa tremila persone, i “kelpers” (70% inglesi, 10% cileni), soprattutto dediti alla pastorizia e alla produzione di lana, 1 milione 600mila chili all’anno.

Gli echi della contesa diplomatica sono arrivati fino alle star cinematografiche di Hollywood. E’ intervenuto Sean Penn per dire che la posizione di Londra “è insensibile, militarista e sbagliata” e che, a suo giudizio, l’Inghilterra dovrebbe accettare un dialogo con l’Argentina per risolvere la controversia. Il diniego inglese su ipotesi di compromesso e anche su qualsiasi apertura di un tavolo di trattativa sulla sovranità di Port Stanley (o Puerto Argentino) si basa su quello che tutti i premier britannici, conservatori o laburisti, hanno definito come “diritto di scoperta”. Perché il primo a toccar terra su quelle lande disabitate fu un capitano inglese, John Strong, nel 1690. Poi la storia si complicò. I primi coloni furono, cent’anni dopo, sia inglesi che francesi. Gli inglesi rimasero (e i discendenti sono i kelpers di oggi) mentre i francesi vendettero tutte le loro cose ai re di Spagna e abbandonarono le isole. Arriviamo così fino al 1816 quando con la dichiarazione d’indipendenza la nascente Argentina rivendica per la prima volta la sua sovranità territoriale sull’arcipelago. Seguono guerre e battaglie della Gran Bretagna contro gli americani che si spingono fin laggiù a caccia di foche e contro Buenos Aires che, di tanto in tanto, spedisce verso le Falkland comitive di giovani coloni. Nel 1964 la questi

one arriva all’Onu e s’impatana. Scoppia l’ultima guerra, 72 giorni e mille morti (655 argentini e 236 inglesi). E infine c’è Carlos Menem, discutibile presidente negli anni Novanta, che a caccia di un buon partito per sua figlia Zulema, si presenta a Buckingham Palace, invita ad un giro di tango la regina Elisabetta, e sottovoce cerca di strapparle qualche promessa sul futuro delle Malvinas ricordandole che sia lei sia il Portogallo stavano riconsegnando Macao e Hong Kong a Pechino.

Fra Londra e Port Stanley ci sono più di 12mila chilometri ma l’Inghilterra sostiene che la rivendicazione argentina è una forma di “colonialismo al contrario” nonostante sull’arcipelago delle Falkland/Malvinas ci siano ancora oggi più pecore che persone perché i tremila residenti non vogliono proprio saperne di diventare argentini. Anzi, ogni volta che vedono un giornalista tirano fuori la Union Jack e lo invitano a bere birra inglese al pub. Fra insulti e qualche balla (un ministro argentino ha sostenuto che sul cacciatorpediniere inglesi ci sarebbero testate nucleari) l’escalation della tensione è destinata a crescere. Per ora senza vie d’uscita che aprano la strada ad una soluzione concordata della secolare contesa.

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