sabato 30 luglio 2011

A casa di Aristide dopo il saccheggio, 2 marzo 2004

Ad Haiti nella casa di Aristide


DAL NOSTRO INVIATO OMERO CIAI


PORT-AU-PRINCE Non dovevano amarlo molto gli haitiani se, appena ha lasciato il paese per rifugiarsi in Sudafrica, hanno stuprato la sua casa portando via ogni cosa. Il portone di ferro verde della residenza di Aristide è ancora lì. Una porticina sulla sinistra è aperta. Nella guardiola del portiere non c' è nessuno. Entriamo. C' è un grande parco con un sentiero di ciottoli bianchi. Sulla destra, dietro gli alberi, una piscina, nemmeno tanto grande. Davanti a noi, lungo il sentiero, c' è un pianoforte sbilenco. Funziona. A sinistra, in fondo, la casa. è una costruzione circolare a due piani. Architettura contemporanea. Grandi vetrate. Un gruppo di ragazzi ci vedono e scappano. Ci dev' essere un ingresso secondario dall' altra parte del parco. Saliti tre scalini si entra subito nel salotto. Un tipo mascherato, con una stoffa a rete nera sulla faccia, sta cercando di separare un grande divano verde chiaro per portarselo via. Alle pareti fili tranciati, per terra album di fotografie aperti e calpestati. C' è Aristide in completo nero che stringe le mani ad un sacco di gente. E una copia dell' autobiografia di Hillary Clinton, con dedica. L' ha regalata al presidente il suo primo ministro, Yvonne Neptune. La dedica è molto affettuosa dice «grazie per tutto quello che hai fatto, tuo Yvonne». Alle pareti ci dovevano essere molti quadri, se ne percepisce la traccia sul muro. Tv, hi-fi, e gli altri oggetti di qualche valore sono già spariti. A sinistra del salone, c' è quel che resta di uno studio. Librerie, un archivio. Ci muoviamo circospetti perché abbiamo anche noi la sensazione di partecipare al saccheggio, di stuprare l' intimità di questa casa. William, l' autista, trova un quadro per terra e se lo mette sotto il braccio. Proviamo a spiegargli che non uscirà con noi se non lo rimette dov' era. Ma lui non ci pensa affatto. Scuote la testa e dice: «No, no, no, no», cantando, come fanno gli haitiani. Non ha fatto in tempo a portare via proprio niente, Aristide, l' altra notte, quando i marines sono venuti a prenderlo per portarlo all' aeroporto. Per terra, nello studio, c' è un ritratto a olio che lo raffigura, foto personali delle figlie e della moglie, una cassa di buste da lettera. è curioso: l' intestazione sulla parte anteriore dice «Jean Bertrand Aristide, Ex President d' Haiti». Devono essere quelle che si fece stampare nel 1996 quando cedette la presidenza al suo vice, René Preval. Sugli scaffali molti libri. Romanzi, come una copia di "Bahia de todos os Santos" del brasiliano Jorge Amado e un' altra dei "Miserabili" di Victor Hugo; ma soprattutto saggi o libri politici. C' è "Il mito di Sisifo" di Albert Camus e un' intera collezione di libri sul castrismo. Dalla conversazione di Frei Betto con il dittatore cubano, ad un manualetto che s' intitola "Fidel e lo sport". Ma c' è anche un' intera cassa di copie della sua autobiografia, "Ogni uomo è un uomo", tradotta in numerose lingue, italiano compreso. Esclusi i libri e molti documenti privati sparsi per terra, nella casa non è rimasto nulla. C' è un uomo che dice di essere uno dei camerieri e che cerca di scacciare, urlando e muovendo le mani come fossero mosche, i ragazzini che s' affacciano a guardare dentro. è lui che conferma la versione dell' arresto di Aristide da parte degli americani. «Sono prigioniero», gli avrebbe detto il presidente domenica all' alba lasciando la residenza. Mentre saliamo le scale per raggiungere il piano superiore, quello delle camere da letto, un giovanotto scende con un mucchio di stampelle sulle spalle. Ha arraffato le ultime giacche dall' armadio. La prima stanza è quella delle due bambine. I letti sono rovesciati. Hanno portato via tutto. Dai materassi ai giocattoli. Anche quella che doveva essere la stanza dell' ex presidente e di sua moglie è stata completamente saccheggiata. Vi si accede da una porta molto piccola. Subito a sinistra ci doveva essere il letto e, in fondo, seguendo il muro che gira a circolo, ancora uno studio. Un tavolo, oggetti di cancelleria. Alle pareti di nuovo impronte di quadri. Tre donne cercano tra i vestiti sparsi sul pavimento. Li alzano, li osservano, li provano. Dalle grandi vetrate entra una luce tenue, morbida, come le grandi foglie che proteggono la stanza dal sole. Fuori, nel parco, l' odore di un guscio caldo appena saccheggiato smette di inseguirci. Tra gli alberi c' è la stessa aria che si vive oggi in tutta la città. La scena è completamente cambiata, sa di primavera, di vita che riprende con un briciolo di speranza in più rispetto a prima. E non sono solo gli studenti che corrono festosi davanti al palazzo presidenziale. Ogni dettaglio è cambiato. A cominciare dall' acqua minerale. Oggi costa di nuovo un dollaro alla bottiglia e non più cinque come l' altro ieri quando questa città si preparava all' assedio. E' strano, Aristide da messia s' era trasformato in un ennesimo dittatore di quest' isola e la sua uscita di scena ha spazzato via in un lampo l' aria cupa che dominava la città. Non dovevano amarlo più come un tempo neppure i suoi ragazzi se, appena partito, si sono portati via tutto quello che Aristide era stato costretto a lasciare

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