sabato 30 luglio 2011

La Paz (da Repubblica, 9 ottobre 2005)

La vita sottosopra della città dove l' inferno tocca il cielo

OMERO CIAI


La Paz - All' inizio è un mal di testa. Come un chiodo a espansione nella base del cranio che ti lascia stordito e dolente per ore. L' effetto dell' altitudine, La Paz si trova a 3.600 metri, si cura solo con molta pazienza e con l' infuso, il "mate" di foglie di coca. Il primo giorno passa così, seduti accanto alla teiera calda con la pianta benedetta. «Camina lentito, come poquito y duermo solito» (Cammina pianissimo, mangia pochissimo e dormi da solo), sono le tre regolette per superare il "sorochi", quel giramento di testa che ti assale appena sbarchi dall' aereo dopo una discesa da brivido tra i picchi innevati dell' Illimani, la montagna sacra degli incas che domina, ad oltre seimila metri, la vallata della città. Appena la guardi dall' aeroporto La Paz sembra un cratere lunare. Una gola brulla e spoglia di case e sassi. Scendendo verso sud, nella parte più bassa sorge la zona ricca, i quartieri borghesi di Colacoto, La Florida, San Miguel. Man mano che si sale, a rovescio, la città impoverisce fino alle favelas aggrappate sul costone della montagna e alla spianata di El Alto, l' ex sobborgo divenuto ormai un' altra città, a quattromila metri. Così La Paz è una piramide rovesciata, una sorta di immenso imbuto con i ricchi giù giù in basso e i poveri su su in alto. Fondata a metà del Cinquecento dagli spagnoli, divenne capitale amministrativa della Bolivia - sede del Parlamento e dei principali ministeri - soltanto alla fine dell' Ottocento, quando esaurito l' oro e l' argento delle rocce di Potosì, l' economia del paese si concentrò sull' estrazione dello stagno. La Paz è una città di grattacieli e villette in basso, catapecchie di legno e pietra in alto. Il suo paesaggio cambia mentre si sale. Poco a poco le strade si fanno più strette e rotte, s' aprono voragini nell' asfalto, le fogne sono all' aperto, fiumiciattoli d' acqua marcia che scende verso il basso. Le facciate diventano screziate, poi del tutto senza l' intonaco. Ipotesi di case, costruite solo per metà. Questo scenario è abbastanza diffuso in America Latina. Anche in megalopoli come Caracas e Rio de Janeiro, la piccola e media borghesia vive nelle zone più basse, vicino al mare in questo caso, mentre l' esercito dei poveri s' arrampica sulle colline (cerros e morros), in favelas che sembrano sfidare le leggi delle fisica, con le case appese, una sull' altra, lungo il costone. La legge è sempre la stessa. Più devi salire e più sei povero, nonostante il panorama. E anche a La Paz, quando sali fino a mezza costa, la vista è spettacolare. Da destra a sinistra si domina tutta la valle. Però la tua casa è sicuramente senz' acqua, probabilmente senza impianto del gas e forse anche senza luce. Poi certamente è anche abusiva. Non ti appartiene. Ma se vivi a La Paz, hai un vantaggio rispetto a Rio e a Caracas: puoi vendicarti abbastanza facilmente contro tutti quelli che stanno in più in basso. @_TITOLETTO nero sx:Un paese in crisi perenne @_AR Tondo al VIVO:La morfologia di La Paz è un controsenso politico e strategico. E se, solo negli ultimi tre anni, crisi e proteste sono costati il posto a due presidenti bisogna rifarsi alla geografia della città per capirne il perché. Qui, affamare i ricchi è facilissimo. Ogni volta che coloro che vivono in alto decidono che hanno sopportato abbastanza è sufficiente che chiudano la strada per ottenere il risultato e paralizzare la città. Infatti qualsiasi cosa, per raggiunge La Paz, deve scendere dall' altipiano. è lassù che passano sia la strada provinciale che la ferrovia. Ed è lassù che c' è l' aeroporto. Da lassù arrivano gli alimenti, la benzina, il gas, e perfino l' acqua. E, lassù, fra vie dissestate aggredite dal fango e baraccopoli sudicie, ci vivono solamente indios, "kollas", poveri. Ogni volta che s' arrabbiano per qualcosa, vincono. è facile. Qualche mese fa mentre seimila vittime dei blocchi della zona sud circondavano il Parlamento esigendo la "mano dura" dell' esercito, centomila indios nativi, cinquecento metri più in alto, chiudevano tutte le vie d' accesso alla valle costringendo in meno di due giorni il presidente a fare le valigie. Negli ultimi anni il fenomeno si è ripetuto con straordinaria regolarità lasciando senza opzioni parlamentari e presidenti. A La Paz comandano quelli di El Alto, la gente della montagna, non c' è scampo: se vuoi governare devi scendere a patti con loro. è come se, per uno scherzo della geografia, gli abitanti di una bidonville avessero il potere di vita e di morte su tutti gli altri cittadini di un paese. E, da quando gli indios l' hanno capito, non c' è stata più partita. Blocchi stradali, non mediazione politica. Come in un gioco di scatole cinesi la morfologia di La Paz simboleggia quella dell' intero paese. Questa spaccatura così netta fra l' alto (i più poveri) e il basso (i più ricchi) riproduce esattamente quella geografica fra le zone dell' altopiano andino e le vaste pianure che confinano con il Paraguay e il Brasile; e quella etnica. In montagna, sopra i quattromila, vivono gli indios nativi (30% quechua, pronipoti della colonizzazione incaica, e 25% aymara), in pianura europei (15%, in maggioranza spagnoli) e meticci (30% per cento del totale). Ossia, secondo la denominazione comune e abbastanza razzista nei due sensi, in pianura vivono i "cambas", mentre la montagna è territorio dei "kollas". Due popoli. I primi sono imprenditori, funzionari, laureati, aristocrazia coloniale al potere proprietaria delle - ancora numerose - risorse naturali, dal gas al petrolio; gli altri sono "nativi" poveri, contadini, disoccupati, nullafacenti che fanno della Bolivia uno dei paesi con indici di sviluppo umano da quarto mondo. Esempio: il 36% dei boliviani non ha un lavoro; il 64% vive al di sotto della linea di povertà (cifra che sale all' 82% tra i nativi); il 37% è del tutto indigente; il 51% dei bambini soffre di anemia. @_TITOLETTO nero sx:Cinque secoli di saccheggi @_AR Tondo al VIVO:L' eccezionalità della Bolivia è quella di essere l' unico paese dell' America Latina dove la colonizzazione spagnola (o portoghese) non ha concluso il suo ciclo di mattanze. Ragion per cui gli indios puri sono ancora la maggioranza del paese. Sono più dei discendenti dei colonizzatori e anche più dei meticci. L' altra eccezionalità è quella di essere stato uno dei paesi più saccheggiati negli ultimi cinque secoli. All' inizio furono le miniere d' oro e d' argento che sostennero gli sfarzi e gli eserciti della corona spagnola. Poi vennero gli inglesi che cercavano fertilizzanti e salnitro (per la polvere da sparo). Poi, non ancora era finito l' Ottocento, vennero i cercatori di gomma, il caucciù, e la Bolivia - che era il secondo produttore mondiale - regalò alla Goodyear le ruote per la nascente industria dell' auto. E poi lo stagno, minerale strategico durante la Seconda guerra mondiale. E il petrolio, e il rame, e il gas. La storia del saccheggio delle risorse naturali boliviane si confonde con quella della nostra modernizzazione industriale: un' altra piramide a rovescio. A dominare è sempre stata "la logica di Potosì", quella della colonia da spogliare di risorse. Come gli spagnoli, che in un paio di secoli trasportarono in Europa tutto l' oro della Bolivia, quando nel 1924 la Standard Oil scoprì il primo pozzo di petrolio tenne nascosta la notizia al governo locale. E per tredici anni, fino al 1937, trafugò il greggio senza pagare neppure un dollaro di tasse. Forse non basta a spiegare l' assoluta povertà di questa città e di questo paese ma di sicuro aiuta. I boliviani hanno avuto sempre pochissimo dal loro ricchissimo sottosuolo. E, fino a vent' anni fa, gli indios avevano una sola risorsa per sopravvivere: la coltivazione della foglia di coca. Nel 1990 il 30% della popolazione viveva grazie alle piantagioni. Poi arrivarono la Dea (l' antinarcotici americana) e i programmi di fumigazione a tolleranza zero. Dalla coca agli ananas. Ma la riconversione non funziona. è una questione di rendimento. Una piantagione di coca regala quattro raccolti all' anno, con pochissimo lavoro come valore aggiunto, e consente ad una famiglia di contadini di vivere agiatamente, l' ananas no. Così, la tolleranza zero, ha prodotto un nuovo esodo di contadini impoveriti dalle zone sub-tropicali del Chapare alle montagne di La Paz. E quando, nel 2000, il presidente Sanchez de Losada ha firmato un contratto per esportare il gas boliviano, via Messico, fino alla California, le favelas sono esplose, costringendolo alla fuga. Così oggi - altra eccezionalità - la Bolivia è uno dei luoghi tendenzialmente più conflittuali del Sud America. Fratture sociali, regionali e politiche, ormai ingovernabili, la rendono esplosiva. E l' ultima grande risorsa naturale che le resta, nel sottosuolo boliviano - la Pachamama degli indios - ci sono i giacimenti più ricchi di gas del continente, è divenuta la calamita di uno scontro finale. Nelle pianure cresce, guidato dall' élite bianca, il movimento separatista che vorrebbe staccarsi dalle regioni andine degli altipiani, commercializzare gli idrocarburi e agganciarsi al treno della globalizzazione; mentre sulle montagne s' ingrossa quello indigeno che, arroccato a difesa dell' ultimo tesoro, s' oppone allo sfruttamento indiscriminato del gas così come s' è opposto alla distruzione delle coltivazioni di coca. Global e no global, ecco servito il terreno ideale per il conflitto del secolo in corso. L' ennesimo. Stavolta all' interno. Nessuno dei due blocchi sociali è in grado di prevalere democraticamente sull' altro, né di avere la forza sufficiente per governare. Dovrebbero scendere a patti. Ma, visti i presupposti, gli spazi sono alquanto stretti. Di guerre, in ogni caso, la Bolivia è paese esperto: ha perso tutte quelle che ha combattuto. Quattro in meno di cent' anni. Contro il Cile, alla fine dell' Ottocento, perse il mare nella cosiddetta "guerra del Pacifico". Contro il Brasile, all' inizio del Novecento, perse quasi tutta la provincia amazzonica dell' Acre, quella del caucciù. E, infine, contro il Paraguay e l' Argentina, nel 1932, perse la guerra per il controllo dei giacimenti di petrolio del Chaco, regione che gli apparteneva. Città dalle salite (e discese) mozzafiato, La Paz conserva sempre qualche sorpresa per lo straniero che la percorre. Le più gioiose sono i suoi numerosissimi mercati che trovi all' improvviso appena girato l' angolo e dove prevalgono le sciarpe, i maglioni e i copricapo di lana di alpaca, morbidi e colorati. Basta una piazza, uno slargo, perfino un marciapiede per fare spazio alle donne che stendono a terra le loro vivaci mercanzie. Città di colori forti e condizioni un po' estreme ti lascia dentro una nostalgia ambivalente. Perché tornarci è comunque uno sforzo e una scelta come sopportare il mal di testa che, finalmente, quando la lasci si dissolve lentamente insieme agli ultimi sguardi che dall' aereo le concedi.

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