lunedì 5 marzo 2012

Brasile, le donne al comando (D- 03/03/012


In Brasile il potere è donna sempre di più. Insieme al trend economico positivo dell’ultimo decennio e al mi- glioramento delle condizioni di vita, almeno dal punto di vista del potere d’acquisto, di larghe fasce della popolazione, un elemento dominante è la rivoluzione del tasso di natalità. Un fenomeno diffuso in tutte le nazioni, una volta molto prolifiche, del- l’America Latina, ma che in Brasile è stato più rapido e profondo.
In mezzo secolo il tasso di natalità brasiliano è sceso da 6,15 figli per ogni donna (1960) all’attuale 1,9 di diventando uno dei più bassi di tutta la regione. Per i demografi che lo pa- ragonano al crollo delle nascite della Cina, dove la regola del figlio unico è stata introdotta per legge nel 1978, è un processo difficile da spiegare, in un gigantesco Paese dove l’aborto è ancora completamente illegale e dove la Chiesa si oppone ad una pianificazione del controllo delle nascite. Ma soprattutto il dato che stupisce è l’omogeneità del crollo che riguarda ricchi e poveri ed è praticamente uni- forme nelle metropoli industriali come nelle aree agricole, in una nazione che ha dimensioni continentali e la cui popolazione è un patchwork etni- co di 200 milioni di persone. Meraviglia tanto che qualcuno ha pensato addirittura all’effetto telenovela. Un rapporto, redatto dalla Inter- American Development Bank, sostiene che in Brasile il numero dei divorzi è aumentato più rapidamente e il tasso di natalità è sceso più in fretta nelle zone del Paese raggiunte per la prima volta dal segnale tv di Rede Globo, la fabbrica delle soap opera nazionali. «Abbiamo scoperto – hanno scritto – che l’esposizione a stili di vita moderni ritratti in televisione, ai ruoli delle donne emancipate, e a una critica dei valori tradizionali, ha una relazione con l’aumento delle separazioni e dei divorzi da parte delle donne in tutte le regioni del Paese».
Difficile diffidare della potenza della tv: appoggiando o ostacolando, negli anni Rede Globo ha fatto e disfatto perfino i presidenti del Brasile. L’episodio più eclatante fu quello di Fernando Collor del Mello nel 1990, ma è pur vero che più di dieci anni dopo Lula vinse solo quando anche la Globo, nelle ultime settimane di campagna, depose le armi e iniziò a non osteggiarlo.
Anche le telenovelas, d’altra parte, subiscono l’effetto dei vasi comunicanti e se descrivono nelle loro storie donne che lavorano, che non hanno paura di divorziare e tendono a co- struire famiglie con pochi figli, è perché quelli sono trend nella vita reale. Uno studio pubblicato qualche tempo dal Ministero della Sanità segnalava come fra il 2000 e il 2008 il numero delle gravidanze in Brasile fosse dimi- nuito da 3,2 milioni a 2,9 milioni al- l’anno, e come questa diminuizione fosse avvenuta quasi soltanto nella fascia d’età che va dai 15 ai 24 anni. Per questa ragione alcuni esperti non sono del tutto convinti che la tenden- za verso un drastico declino delle nascite durerà nel tempo. È probabile che l’ultima generazione stia semplicemente rinviando il momento di avere figli e che nei prossimi anni – come è già accaduto negli Stati Uniti e in Europa – il numero delle gravidanze torni ad aumentare quando queste donne avranno quarant’anni.
Non c’è dubbio comunque che crollo del tasso delle nascite e “famiglia ristretta” cominciano ad avere conseguenze sostanziali sulla società brasiliana e sulle aspirazioni delle donne. L’emblema di questa svolta è il nuovo presidente del Brasile, Dilma Rousseff, è non soltanto perché è la prima donna ad essere arrivata da primo cittadino nel palazzo di Planalto, la sede del capo dello Stato, a Brasilia. Dilma ha scelto apertamente di puntare moltissimo sulle donne. Lo ha detto quando ha giurato come presi- dente dopo aver vinto le elezioni nel- l’ottobre del 2010: «Sono qui per aprire le porte in modo che, in futuro, molte altre donne possano essere anche presidenti, e così che oggi, tutte le brasiliane possano sentirsi orgoglio- se e felici di essere donne». Poi lo ha anche fatto. Il Brasile di oggi è governato da un triunvirato tutto femminile. Nei tre incarichi più importanti del governo ci sono Dilma presidente, Gleisi Hoffmann nel ruolo capo della Casa Civil, che corrisponde al nostro primo ministro, e Ideli Salvatti alle relazioni istituzionali, ossia i rapporti con il Parlamento. Non basta, già nel suo primo governo la Rousseff aveva triplicato rispetto al precedente il numero dei mi- nisteri affidati alle donne, nove invece che tre. Subito dopo, e per tutto il 2011, Dilma ha dovuto affrontare l’emergenza corruzione con diversi ministri ereditati dall’epoca di Lula messi alla gogna dalle rivelazioni della stampa. Prima di lei in Brasile era dif- ficile che un ministro accusato di mal- versazione dei fondi si dimettesse. Lula li difendeva tutti e tirava avanti privilegiando piuttosto che l’onestà il delicato equilibrio dei partiti che lo ap- poggiavano e garantivano l’approvazione delle leggi e la gestione del governo. Con Dilma no. Lei ha preteso le dimissioni di tutti gli accusati. Sei, uno dietro l’altro. E spesso li ha sostituiti con donne.
Per dare un’idea della “rivoluzione rosa” di Brasilia il settimanale tedesco Der Spiegel ha scritto: «Dovunque si guardi in questo palazzo di marmo bianco (il “Planalto” disegnato cin- quant’anni fa da Oscar Niemayer), ci sono ministri di sesso femminile, consulenti di sesso femminile, esperti di sesso femminile, sottosegretari di sesso femminile. Solo i camerieri e le guardie di sicurezza all’ingresso sono uomini. Grazie al presidente Rousseff tutto il resto nella sede del governo è saldamente in mano alle donne. Tutti tranne uno i consiglieri della sua cer- chia più ristretta sono donne. E tutto ciò non è la conseguenza di una politica delle quote. “Quando bisogna scegliere fra un uomo e una donna con lo stesso curriculum, si preferisce assumere la donna”, confessa candidamente Gilberto Carvalho, l’unico uomo nell’ufficio di presiden- za».
Si dice che i deputati tremino di fronte a questo governo di donne determinate e pragmatiche. E che tremino tanto da alleviare i propri timori con qualche perfida ironia. Glei- si Hoffman nei corridoi del Congresso è stata soprannominata «il trattore» mentre la Salvatti è diventata «la tigre». Il problema però è caldo e anche i prossimi mesi dell’avventura di Dilma dipenderanno dal suo scontro con il potere maschile della coalizione di partiti che la sostiene e con i cacique della politica brasiliana abi- tuati a gestire molto liberamente i fondi pubblici e a sentirsi un casta di intoccabili.
L’ultimo colpaccio Dilma lo ha fatto con Petrobras, il colosso pubblico e privato del petrolio. Il nuovo ammini- stratore delegato della maggiore azienda energetica dell’America Lati- na (al 34° posto tra le principali im- prese del mondo) è la sua amica Maria das Graças Silva Foster. Per la prima volta un’altra donna su una delle poltrone più importanti del Brasile. Come Dilma, divorziata due volte e madre di una sola figlia, Maria è un altro simbolo della “rivoluzione rosa” brasiliana. Gli uomini di Petrobras la chiamano «l’orco», ma lei è cresciuta in favela, in una famiglia numerosa, e si è pagata gli studi raccogliendo e ri- vendendo spazzatura riciclabile, carta e lattine, prima di laurearsi in chimica e in ingegneria.
Non ci sono solo la politica e le grandi aziende. Le donne del Brasile iniziano a primeggiare quasi ovunque. C’è un esempio perfino nel campionato di calcio. Ed è Patricia Amorin,
diventata presidente di uno dei più antichi club del football verde oro, il Flamengo di Rio de Janeiro. È lei che ha fatto impazzire i tifosi maschi riportando a casa un figliol prodigo come Ronaldinho.
Altri numeri: in Brasile un terzo delle famiglie sono formate da donne sole con figli. Che lavorano. Per legge esi- stono anche le quote. Almeno il 30% dei candidati nelle elezioni comunali, in quelle parlamentari o per i governatori degli Stati, dovrebbero essere donne anche se finora quella delle quote femminili è una legge rimasta sulla carta. Il grande argomento so- speso di questa stagione brasiliana è l’aborto. Durante la sua campagna elettorale Dilma Rousseff ha evitato di promuovere il suo parere favorevole a una legalizzazione dell’interruzione della gravidanza per non perdere il sostegno dei gruppi religiosi, evangelici e cattolici. La pratica dell’aborto illegale è una delle prime cinque cause di morte per le donne e provoca 200mila decessi all’anno. Una tragedia sulla quale il nuovo potere tutto rosa non potrà chiudere gli occhi.

Nessun commento: